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Varrà più la pena lavorare, dopo il calcolo dell'ISEE?

Pubblicato il 13/04/2011 - Letto 4007 volte
In questo focus verrà presentata una problematica che, purtroppo, coinvolge quelle persone con disabilità che, pur avendo bisogno di assistenza personale, svolgono attività lavorativa. Se per non pesare alla collettività decidono di intraprendere un'attività lavorativa, a causa dell'applicazione dell'ISEE rischiano di pensare su se stesse e sulla propria famiglia, vedendosi ridurre la possibilità di guadagno. Verrebbe da chiedersi: vale la pena lavorare in queste condizioni?

Storia di un impiegato (con disabilità)

Prendiamo il caso del Sig. X, un cittadino umbro con una disabilità che, mettiamo, necessita di un'assistenza domiciliare di tre ore giornaliere.

Il Sig. X è un impiegato pubblico che guadagna circa 1.038 Euro al mese, per un reddito complessivo di 13.494 Euro annui.

Il Sig. X, avendo il riconoscimento dell'invalidità civile pari al 100%, possiede anche la pensione di inabilità per un ammontare di 3.383,51 Euro (260,27 Euro per 13 mensilità).

Il suo reddito disponibile (dato dalla somma del reddito da lavoro, dichiarabile ai fini IRPEF, e quello dato dalla pensione di inabilità, non dichiarabile ai fini IRPEF) è di 16.877,51 Euro.

Al Sig. X viene richiesto l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) individuale per poter contribuire al costo dei servizi. Dal conteggio effettuato risulta che il Sig. X possiede un ISEE pari a 14.937 Euro.

Dal momento che è appartenente alla fascia che va da 7.942,14 Euro a 15.000,00 Euro, il Sig. X deve contribuire alla spesa del 15% del costo del servizio (si ricorda che le fasce ISEE e le relative percentuali non sono ancora ufficiali).

Calcolando il costo di un'assistenza personale di tre ore al giorno per cinque giorni alla settimana per un anno, si può ipotizzare la cifra si aggiri intorno ai 7.200 Euro. A tale costo, il Sig. X dovrebbe contribuire per circa 1.080 Euro (ossia il 15%).

Decurtando dal reddito disponibile 1.080 Euro, emerge che al Sig. X rimane un reddito spendibile di: 15.797,51 Euro.

Se l'impiegato riceve un aumento di stipendio

Prendiamo il caso il Sig. X, l'anno successivo, riceva un aumento di stipendio pari a circa 154 Euro.

La situazione, apparentemente favorevole, si rivela invece una beffa.

Infatti, quando il Sig. X tornerà a fare il calcolo per l'ISEE saranno cambiate molte variabili:

• in primo luogo, il suo reddito complessivo lordo annuo è passato da 13.494 Euro a 15.496 Euro, il che implica la perdita del diritto alla pensione di inabilità (poiché il limite reddituale, calcolato sul 2011, è di 15.305,79 Euro annui).
• anche il suo ISEE è cresciuto, passando da 14.937 Euro a 16.270.84 Euro, il che significa che egli dovrà pagare non più il 15%, bensì il 25% del costo dei servizi, in quanto la fascia di appartenenza è ora quella compresa tra 15.001,00 Euro e 18.000,00 euro.

Il 25% del costo dell'assistenza (sempre calcolato su una spesa di 7.200 Euro) è salito a 1.800 Euro.

Il reddito complessivo disponibile del Sig. X è ora composto solo dallo stipendio, poiché non percepisce più la pensione di inabilità. Sottraendo allo stipendio il costo dell'assistenza, rimane un reddito disponibile pari a 13.696 Euro.

Confrontando il reddito disponibile che aveva prima dell'aumento di stipendio (13.696 Euro) con quello ottenuto con l'aumento di stipendio (15.797,51 Euro), emerge un paradosso: all'aumentare del lavoro (e quindi dello stipendio), diminuisce il margine di guadagno di ben 2.101,51 Euro.

Nota
Quello descritto è solo un esempio costituito da dati fittizi. È possibile simulare vari ISEE compilando i dati presso il servizio on line dell'INPS:

Simulazione ISEE

Il paradosso

Apparentemente sembra giusto il principio che impone a chi possiede un reddito maggiore, e quindi ha un ISEE più alto, di contribuire maggiormente al costo dei servizi: se il Sig. X guadagna di più, è giusto che contribuisca di più.

Ma è veramente così?

Purtroppo la normativa sull'ISEE non considera che la necessità di assistenza non segue una modalità proporzionale (come le tasse, che vengono calcolate in modo proporzionale affinché la tassazione sia proporzionale al reddito posseduto), ma è una necessità a se stante dal reddito e, anzi alle volte, per poter lavorare di più è necessaria più assistenza. Ma se l'unità marginale di guadagno che il lavoratore dovrebbe avere per aver lavorato un'ora in più equivale ad un costo due volte tanto in termini di assistenza, non c'è guadagno per il lavoratore. E questo è un evidente paradosso.

Aumento di stipendio + stessa assistenza = più costi per il lavoratore
Il paradosso è che, pur con un aumento di stipendio, anche rimanendo ferme le necessità di assistenza del Sig. X in termini di ore, il guadagno effettivo non c'è, anzi c'è una perdita economica di circa 2.101,51 Euro.

In altre parole, l'aumento di stipendio di 150 Euro può essere significativo per un lavoratore. Ma come si è visto, per un lavoratore con disabilità, questo aumento costituisce in realtà una riduzione perché va ad incidere su un complesso sistema che non è solo lavorativo, ma anche assistenziale. Secondo tale sistema, il diritto ad una prestazione economica assistenziale cessa nel momento in cui si supera una certa soglia di reddito. La cessazione della prestazione, che non ha grandi conseguenze nei redditi molto alti, ha invece conseguenze notevoli in quei redditi medio bassi. Nell'esempio riportato, infatti, l'aumento di stipendio è costituito da quel tanto che serve sia per superare la soglia minima prevista dall'INPS per la pensione, sia per passare in una soglia più alta dell'ISEE. Questo fatto, quindi, comporta che il lavoratore per un aumento di soli 150 euro di stipendio si vede sottratti 2.101,51 Euro.

Più lavoro + aumento di stipendio + più assistenza = più costi per il lavoratore
Un altro paradosso è costituito dall'ipotesi in cui la volontà di lavorare di più sia punita. Infatti, una persona con disabilità che voglia lavorare di più (per avere uno stipendio più alto) potrebbe necessitare di un maggior numero di ore di assistenza per poter mantenere gli standard richiesti (orario di lavoro maggiore, tempi ristretti, pranzo in ufficio, ecc.).

Quindi, le ore in più lavorate corrispondano sì ad un aumento di stipendio, ma anche ad ore in più di assistenza (il rapporto potrebbe essere anche 1 a 2) e quindi ad una spesa maggiore da parte della persona che, cambiando ISEE si troverebbe a pagare una fascia superiore di assistenza. Ancora una volta ad un guadagno maggiore corrisponde una rimessa economica da parte del lavoratore.

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