La compartecipazione alla spesa per il costo dei servizi socio-sanitari, soprattutto per come viene proposto dalle amministrazioni, è da sempre un tema che preoccupa le persone con disabilità, le loro famiglie e le associazione che ne promuovono e tutelano i diritti.
Circa dieci anni fa, nel 2006, nasceva una campagna della LEDHA di Milano (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) che aveva l'evocativo titolo "pagare il giusto". La campagna - rivolta inizialmente a tutti i Sindaci della Lombardia e poi estesa e abbracciata, anche a livello nazionale, dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) - continua ancora oggi e chiede il rispetto della legge sulla partecipazione alla spesa dei servizi indispensabili per la vita delle persone con disabilità. Si fonda sulla convinzione che le richieste di partecipazione al costo dei servizi e delle prestazioni debbano essere considerate quali strumenti di politica sociale e non di sostegno alle casse comunali.
Le richieste alle persone con disabilità di compartecipazione al costo di servizi e prestazioni devono tenere conto che le specifiche condizioni di salute favoriscono spesso l'impoverimento economico e sociale dei nuclei familiari. La partecipazione al costo di servizi e prestazioni, quindi, deve essere considerata parte integrante del processo di presa in carico delle persone con disabilità e deve tener conto del loro progetto di vita.
Quando nel 2006 iniziò la campagna, il riferimento normativo per la compartecipazione alla spesa di servizi e prestazioni era il Decreto legislativo n. 109 del 31 marzo 1998, che stabiliva i criteri di elaborazione dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) e distingueva tra «ISEE individuale», ossia riferito al solo reddito della persona con disabilità, e «ISEE familiare», riferito all'intero nucleo familiare. La campagna fu fondamentale perché diffuse la conoscenza di numerose sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) che hanno dato ragione alle numerose persone e famiglie che facevano ricorso contro i rispettivi Enti locali che applicavano impropriamente i criteri dell'ISEE.
Oggi il riferimento normativo è cambiato, ma non i problemi connessi. Come è noto, la riforma dell'ISEE è avvenuta con l'approvazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) n. 159 del 5 dicembre 2013, entrato ufficialmente in vigore l'8 febbraio 2015.
In questo articolo e in queste schede tecniche abbiamo fornito un quadro piuttosto esaustivo delle novità introdotte dal nuovo ISEE.
Nuovi problemi si pongono davanti agli enti erogatori di prestazioni sociali agevolate (esempio i Comuni, le Università ecc.) poiché sono chiamati a fissare, con proprie deliberazioni, i criteri di accesso, i destinatari di servizi e prestazioni e le eventuali soglie ISEE, nonché le quote a carico dei cittadini.
Non tutti gli enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate, tuttavia, hanno già provveduto a modificare i regolamenti, creando non poche difficoltà organizzative e pratiche (anche perché tali prestazioni hanno spesso carattere di urgenza e la loro erogazione non può essere interrotta a causa di questioni burocratiche).
Non solo, ma già esistono almeno tre sentenze della Sezione I del TAR del Lazio (le n. 2454/2015, n. 2458/2015 e n. 2459/2015) che, di fatto, modificano parzialmente l'impianto del calcolo dell'Indicatore della Situazione Reddituale (ISR), cioè di una componente dell'ISEE. Per una lettura più completa delle tre sentenze, si rimanda all'articolo di Carlo Giacobini pubblicato su Handylex.org [link a sito esterno].
Per il momento, ci limitiamo a far presente che queste sentenze hanno creato un piccolo terremoto in seno agli enti erogatori di prestazioni sociali agevolate, anche se gli effetti concreti sono ancora incerti. Infatti, se è vero che le Dichiarazioni Sostitutive Uniche (DSU) rilasciate dopo il 12 febbraio 2015 senza rispettare le tre sentenze sono formalmente illecite, è altrettanto vero che il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali potrebbe non applicare subito quanto censurato dalle sentenze, ma, al contrario, potrebbe sospenderne l'applicazione in attesa del ricorso che lo stesso ha mosso presso il Consiglio di Stato (organo superiore rispetto al TAR).
Per concludere, come abbiamo scritto, l'applicazione del nuovo ISEE è ancora molto nebulosa e complessa; ed è proprio con questi dubbi che lo scorso 25 giugno che la LEDHA, durante l'inaugurazione del nuovo Centro Antidiscriminazione "Franco Bomprezzi" (presso l'Aula Pio XII dell'Università di Milano), ha rilanciato la campagna "vogliamo pagare il giusto".
La campagna, come già scritto sopra, è stata nel corso del tempo condivisa ed estesa anche ad altre sezioni regionali della FISH, tra cui quella umbra. Le preoccupazioni circa la corretta applicazione dell'ISEE si estende, infatti, a tutte le persone con disabilità.
Per quanto riguarda la nostra regione, la FISH Umbria ONLUS intende chiedere alla nuova Giunta la formulazione di linee guida precise e coerenti con i princìpi enunciati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, che tenga conto delle riflessioni elaborate in questi anni dalla Federazione (regionale e nazionale) in merito all'impoverimento delle famiglie in cui è presente una persona con disabilità a parità di reddito complessivo, della libertà di scelta dei servizi e delle prestazioni e del fatto che le stesse non debbano essere erogate in modo incoerente, ma che debbano far parte di un Progetto Individuale coerente con il progetto di vita di ciascuna persona con disabilità.
La FISH Umbria ONLUS, inoltre, intende invitare l'Osservatorio regionale sulla condizione delle persone con disabilità a richiedere a tutti i Comuni umbri l'applicazione trasparente dei criteri della compartecipazione alla spesa. Non solo, ma la FISH Umbria ONLUS ritiene che l'Osservatorio regionale avrà lo specifico compito di monitorare il percorso di definizione e applicazione dei regolamenti comunali sull'ISEE.
Allo stesso tempo, la FISH Umbria ONLUS invita anche i singoli Comuni umbri a prendere contatto con le due Federazioni attive in seno all'Osservatorio (l'altra è la FAND - Federazione tra le Associazioni Nazionali Disabili) per condividere i criteri dei regolamenti comunali.
Infine, è bene ricordare - con le parole del presidente nazionale della FISH Vincenzo Falabella - che qualsiasi regolamento comunale non potrà essere equo se non si ha ben chiaro un concetto fondamentale: il tema delle risorse economiche per il sostentamento dei servizi socio-sanitari deve essere collegato «[…] ad un generale ripensamento dei servizi e delle politiche per l'inclusione e, quindi, a tutti gli interventi contro la segregazione delle persone. Se i timori sono quelli delle risorse, sappiamo che queste sono troppo spesso frammentate e disperse. La reale integrazione socio-sanitaria, la possibilità di attingere anche all'ambito sanitario per garantire l'inclusione, il coinvolgimento diretto della persona nell'elaborazione e realizzazione del suo progetto di vita sono possibili adottando modelli organizzativi già sperimentati con successo come il "budget di salute": un patto fra Cittadino e servizi che offre tutte quelle garanzie con efficacia, trasparenza, equità» (sul tema del budget di salute si veda a questo proposito l'intero comunicato della FISH nazionale che abbiamo pubblicato la scorsa settimana).