La Legge n. 183 del 4 novembre 2010 è una norma che ha avuto l'intenzione di regolare un complessità di atti, tra cui i concedi e i permessi lavorativi in favore di lavoratori con disabilità e soprattutto di lavoratori che assistono familiari con disabilità.
Si sta parlando dei permessi e dei congedi previsti dall'articolo 33 della Legge n. 104 del 5 febbraio 1992.
La Legge n. 183/2010 - come già detto in queste pagine il 5 novembre 2011 (si legga il focus) - ha fatto molto discutere per una maggiore restrizione del numero dei beneficiari dei permessi.
Tuttavia non è la prima normativa che affronta la "riforma" della materia dei permessi e dei congedi lavorativi. Prima di questa, infatti, avevano riveduto la materia sia la Legge n. 53 dell'8 marzo 2000, sia il Decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001.
Tornando alla Legge n. 183/2010, l'articolo 23, comma 1, delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati proprio al riordino dei permessi lavorativi, dei congedi e delle aspettative usufruibili da lavoratori.
Il Governo, quindi, già a partire da novembre 2010, ha stilato uno schema di Decreto legislativo, sottoposto all'analisi della Camera e del Senato, della Conferenza Stato-Regioni e poi tornato in Consiglio dei Ministri.
Dopo una prima stesura lo scorso aprile, il 16 maggio la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) ha mosso alcune osservazioni rispetto alle «[...] le logiche che hanno condotto al nuovo testo e [che] sono le medesime che avevano portato alle modifiche dello scorso anno. Si aggiungono condizioni e vincoli nell'intento, che non verrà centrato, di evitare le elusioni, finendo per causare, invece, un sovraccarico amministrativo [...]» (per una lettura integrale delle osservazioni della FISH, si legga l'articolo - collegamento a sito esterno).
L'8 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato definitamene lo schema del Decreto legislativo, che a breve - salvo nuove modifiche - verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Con questo focus facciamo il punto sulle principali questioni che riguardano le persone con disabilità e i loro familiari stabilite dallo schema del Decreto legislativo.
L'articolo 3 dello schema di Decreto legislativo modifica quanto precedentemente previsto dall'articolo 33 del Decreto legislativo n. 151/2001 in materia di congedo familiare.
La nuova formulazione prevede che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, hanno diritto a fruire, entro il compimento dell'ottavo anno di vita del bambino (riconosciuto in «stato di handicap in situazione di gravità», ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della Legge n. 104/1992), del congedo parentale, in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo non superiore a tre anni, inclusi i periodi dei congedi parentali (previsti dall'articolo 32 del Decreto legislativo n. 151/2001), a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Nel computo dei tre anni sono inclusi anche i congedi parentali (previsti dall'articolo 3 della Legge n. 53/2000 e poi ribaditi dall'articolo 32 del Decreto legislativo n. 151/2001) concessi alla generalità dei genitori a prescindere dalla disabilità del figlio (fino ad 11 mesi totali se a fruirne sono entrambi).
Il congedo - che può essere continuativo o frazionato - è relativo a ciascun figlio con disabilità, può essere fruito alternativamente da ciascun genitore, ma è incompatibile con la contemporanea fruizione dei permessi lavorativi (previsti dall'articolo 33 della Legge n. 104/1992).
La critica della FISH
Il testo si presta a dubbi interpretativi in particolare nella frase «inclusi i periodi di cui all'art. 32», laddove non è chiaro se il riferimento si riferisca ai periodi del solo genitore lavoratore che abbia chiesto l'estensione, o ai periodi a cui hanno diritto entrambi i genitori.
Il Decreto non supera il limite - peraltro già presente nella stessa Legge n. 104/1992 - che prevede la negazione del congedo qualora il bambino sia ricoverato in istituti specializzati. Si rileva che molto spesso sono proprio i medici delle strutture in cui il bambino è ricoverato a richiedere la presenza costante del genitore (per ovvie ragioni affettive e con riflessi psicologici). Si propone di aggiungere la locuzione «[…] e non via sia certificazione medico-sanitaria dell'istituto di ricovero che attesti la necessità a fini terapeutici della presenza di un genitore […]», oppure eliminare la condizione visto che oggi l'INPS e Funzione Pubblica sono concordi nel concedere le agevolazioni ai genitori che producono tale certificazione in caso di figli minorenni ricoverati.
L'articolo 4 dello schema di Decreto legislativo modifica quanto previsto dall'articolo 42 del Decreto legislativo n. 151/2001 relativamente al congedo per l'assistenza ai familiari con disabilità.
In primo luogo rimane in vigore l'opportunità per i genitori di fruire, in alternativa al congedo per assistenza, delle due ore di permesso giornaliere (previste dall'articolo 24, comma 1, del Decreto legislativo n. 151/2001); la condizione, tuttavia, è ammessa solo fino al terzo anno di età del bambino.
Il comma 5, che disciplina i congedi per i figli maggiorenni con disabilità, fa proprio quanto disciplinato dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 19/2009, aveva esteso anche al coniuge e ai figli la possibilità di usufruire di tale congedo per assistenza. Dopodiché, il comma 5 prosegue disciplinando una sorta di "gerarchia" tra la platea dei beneficiari del congedo:
Il comma 5-bis prevede che:
Il comma 5-ter prevede specifiche disposizioni in merito all'indennità economica che il lavoratore percepisce durante il periodo di congedo. In particolare:
Il comma 5-quater afferma che i lavoratori che usufruiscono dei congedi per l'assistenza per un periodo continuativo non superiore a sei mesi hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa.
Il comma 5-quinquies, infine, precisa che periodo di congedo per assistenza non dà diritto per la maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
La critica della FISH
La prima osservazione riguarda quanto disciplinato dal comma 5 in merito alla "gerarchia" dei beneficiari:
[Ai fini di questo articolo, si omette l'analisi dell'articolo 5 dello schema di Decreto Legislativo, N.d.R.].
Lo schema di Decreto legislativo modifica anche l'articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992.
Il comma 3 viene integrato con due precisazioni:
All'originario articolo 33, comma 3, viene aggiunto il comma 3-bis, che impone al lavoratore che usufruisce dei permessi lavorativi, se residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza dell'assistito, di attestare con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito.
La critica della FISH
L'aspetto positivo è certamente quello di fornire una disciplina normativa su una fattispecie di cui si era occupato il Consiglio di Stato nel lontano 1996 e alcune circolari amministrative di INPS e INPDAP nel corso degli anni.
La soluzione proposta dallo schema, tuttavia, è, sotto il profilo operativo, piuttosto farraginosa e potenzialmente foriera di inefficacia o di disparità di trattamento. Infatti: in merito alla cumulabilità con il secondo familiare non è mai ammessa nel caso in cui anche il "secondo" familiare da assistere sia un parente o un affine di terzo grado.
Inoltre, si riscontra una difformità legislativa tra questa disposizione e quella prevista nella prima parte dell'articolo 3, comma 3, (così come modificato dall'articolo 24 della Legge n. 183/2010), che prevede la concessione dei permessi solo per i parenti e gli affini fino al secondo grado, salvo eccezioni (decesso, età, patologie) che consentono la concessione anche fino al terzo grado. Pertanto, restando così com'è il Decreto, la situazione è così delineata:
Quindi potrebbero nascere le seguenti situazioni:
La situazione è paradossale oltre che fonte di disparità di trattamento a fronte di identica situazione; si tratta di fattispecie destinate ad essere censurate dalla Giurisprudenza.
Nella seconda parte, l'articolo 6 fissa una regola dagli intenti antielusivi, imponendo al lavoratore che usufruisce dei permessi per assistere un familiare residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 Km rispetto a quello di residenza del lavoratore, di attestare con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito. L'imposizione di questo limite chilometrico appare privo di una motivazione e comunque non offre alcuna garanzia che vi sia effettiva assistenza alla persona con disabilità che ne dovrebbe beneficiare.
L'articolo 7, modifica la disciplina relativa al congedo per cure, ossia il congedo annuario di trenta giorni per poter svolgere cure specifiche inerenti la propria patologia. In particolare, tenta di mettere ordine abrogando quanto precedentemente previsto dall'articolo 26 della Legge n. 118 del 30 marzo 1971 e dall'articolo 10 del Decreto legislativo n. 509 del 23 novembre 1988.
L'articolo, ribadendo che l'abrogazione dei congedi per cure termali (previsti dall'articolo 1 del Decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993) ad opera dell'articolo 3, comma 42, della Legge n. 537/1993), ribadisce che i lavoratori riconosciuti «mutilati e invalidi civili» con una percentuale di invalidità civile superiore al 50% possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni.
Il congedo per cure è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato, accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale (o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica) dalla quale risulti la necessità della cura in relazione alla patologia riscontrata.
Durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento economico calcolato secondo il regime valido per le assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa.
La critica della FISH
Rispetto alla formulazione dell'articolo 7, si ritiene che andrebbe specificato con chiarezza quanto segue:
[Ai fini di questo articolo, si omette l'analisi dell'articolo 8 dello schema di Decreto Legislativo, N.d.R.].