Come anticipato la settimana scorsa da un comunicato della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap), la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha bocciato un emendamento (proposto dalla Commissione Affari Sociali) che cercava di rimediare ad una disposizione della «riforma Fornero» che discrimina i lavoratori che assistono persone con disabilità e/o gli stessi lavoratori con disabilità: la disposizione, infatti, non annovera, tra i congedi ammessi a formare anzianità contributiva per la «pensione anticipata», anche quelli derivanti dai permessi e congedi lavorativi previsti dalla Legge n. 104/1992. Vediamo più nel dettaglio la questione.
L'ultimo comunicato della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) - che abbiamo pubblicato in queste pagine - nasce alla luce di un problema, aperto e mai sanato, che ha a che fare con la cosiddetta «riforma Fornero» (ossia la riforma delle regole di accesso alla pensione lavorativa proposta dall'allora Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero e approvata dal Parlamento nel 2011 e, poi modificata, nel 2012).
Il problema riguarda la mancata previsione, nel novero dei permessi e congedi ammessi a contribuire alla maturazione dei contributi per accedere alla «pensione anticipata», di quelli previsti dalla Legge n. 104/1992, usufruiti dai lavoratori con disabilità e/o dai lavoratori che devono assistere un familiare con disabilità.
Ma cerchiamo di fare ordine e partiamo dall'inizio.
Cosa prevede la «riforma Fornero»
Quella che è passata come «riforma Fornero» è un insieme di disposizioni che fanno capo sostanzialmente alla Legge n. 214 del 22 dicembre 2011 [link a sito esterno] e alle modifiche alla stessa introdotte dalla Legge n. 14 del 24 febbraio 2012 [link a sito esterno].
Senza entrare nel particolare delle singole norme, e limitandoci alla parte che ci interessa e compete, possiamo riassumere che la Legge n. 214/2011 individua due tipologie di pensione:
- Pensione di vecchiaia;
- Pensione anticipata.
Pensione di vecchiaia. Si fonda sulla combinazione di un minimo di anni di contributi versati e un minimo di età del lavoratore. Gli anni di contribuzione sono 20; l'età minima del lavoratore che vuole andare in pensione verrà progressivamente aumentata fino ad arrivare, nel 2020, a 66 anni e 11 mesi (valevole sia per gli uomini che per le donne). Per il 2013, l'età prevista è:
- 66 anni e 3 mesi per i lavoratori (uomini e donne) dipendenti ed autonomi;
- 62 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti private;
- 63 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome.
Pensione anticipata. La pensione anticipata è stata introdotta per andare in contro a quei lavoratori che hanno iniziato la propria carriera lavorativa in giovane età. In questo caso, l'anzianità contributiva (ossia, gli anni di contributi versati) sono più elevati di quella di vecchiaia e saranno adeguati all'adeguamento della speranza di vita. Per il 2013, sono:
- per i lavoratori: 42 anni ed 2 mesi;
- per le lavoratrici: 41 anni e 2 mesi.
Anche se, in teoria, per richiedere la pensione anticipata non è prevista un'età anagrafica minima, di fatto, il lavoratore che la richiede prima dei 62 anni subisce una penalizzazione che incide sull'ammontare della pensione, poiché fa riferimento agli anni di anzianità contributiva maturati prima del 1° gennaio 2012. Le penalizzazioni sono:
- dell'1% per ogni anno di anticipo entro un massimo di due anni;
- del 2% per ogni anno ulteriore rispetto ai primi 2.
Le modifiche. La Legge n. 14/2012 ha individuato una tassativa gamma di astensioni dall'attività lavorativa (permessi, congedi, ecc.) che, almeno fino al 31 dicembre 2017, contribuiscono e contribuiranno a formare l'anzianità contributiva. Questi sono:
- prestazione effettiva di lavoro;
- periodi di astensione obbligatoria per maternità;
- periodi di astensione per l'assolvimento degli obblighi di leva;
- periodi di astensione per infortunio;
- periodi di astensione per malattia;
- cassa integrazione guadagni ordinaria.
Da quanto si può dedurre, altre tipologie di assenze o astensioni da lavoro (seppur retribuite) non sono contemplate. In particolare, risultano mancanti:
- i permessi lavorativi mensili previsti dall'articolo 33 della Legge n. 104/1992 (sia fruiti per l'assistenza a familiari con disabilità, sia quelli usati dagli stessi lavoratori con disabilità);
- i congedi retribuiti per l'assistenza a familiari con disabilità (previsti dall'articolo 42 del Decreto legislativo n. 151/2001);
- l'astensione facoltativa di maternità in costanza di rapporto di lavoro anche se riscattati (previsto dall'articolo 35 del Decreto legislativo n. 151/2001);
- i periodi relativi ai riscatti di laurea, specializzazione, diplomi professionali anche se oggetto di ricongiunzione (Legge n. 29/1979);
- le assenze per sciopero;
- i permessi per i donatori del sangue;
- i periodi di disoccupazione se non hanno dato titolo all'accesso alla cassa integrazione guadagni, anche se oggetto di ricongiunzione (Legge 29/1979).
Il problema: è stato ignorato il lavoro di cura
La FISH - tramite il presidente Pietro Barbieri - afferma: «Si continua ad ignorare incredibilmente il lavoro di cura: eppure l'ISTAT certifica che due terzi delle persone con gravi disabilità (70,1%) non fruiscono di alcun supporto domiciliare pubblico, valore che sale all'83,2% nella fascia di età tra gli 11 e i 64 anni. Secondo il Parlamento, chi si prende cura di quelle persone?».
In altre parole, non annoverare nel calcolo degli elementi che permettono la maturazione di anni di contribuzione i permessi e i congedi legati all'assistenza alle persone con disabilità (o agli stessi lavoratori con disabilità), significa non considerare l'importanza che tali strumenti hanno nel permettere a più del 70% della popolazione con disabilità di poter beneficiare di assistenza (non fornita, alternativamente, da altri enti) e, allo stesso tempo, tutti i lavoratori che garantiscono tale assistenza di poter continuare a lavorare e a compiere, a casa, un «lavoro di cura» sempre più gravoso e sempre meno considerato.
Tempo fa, pubblicammo su queste pagine una riflessione di quanto inciderebbe l'assenza dei permessi e dei congedi previsti dalla Legge n. 104/1992: il tema, allora come ora, riguardava il falso risparmio che l'abolizione dei permessi lavorativi porterebbero nelle tasche dello Stato.
Ora la questione è un po' diversa, ma certamente lo spirito è lo stesso: come denunciato dalla FISH, infatti, se da un lato, la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati aveva approvato uno specifico emendamento [link a sito esterno] che, di fatto, abrogava la norma restrittiva della «riforma Fornero», dall'altro, tuttavia, la Commissione Bilancio della Camera ha deciso - «ragionieristicamente» (per usare le parole di Barbieri) - di escludere i permessi e i congedi dai conteggi dell'anzianità pensionistica, bocciando per mancanza di copertura finanziaria l'emendamento approvato dalla Commissione Affari Sociali.
Il testo ora torna in discussione in Aula e l'auspicio è che si rimetta mano e si risolva questa incresciosa discriminazione ai danni di chi cerca di sopperire alle tante mancanze del welfare.