Dal momento che l'estate porta le persone a viaggiare di più, anche con l'automobile, ci sembra utile fare il punto della situazione sulla concessione del Contrassegno Unico Disabili Europeo (CUDE), il pass di colore azzurro, essenziale facilitatore che permette alle persone con disabilità che lo posseggono di poter parcheggiare l'automobile in cui viaggiano negli specifici spazi riservati.
Partiamo con una constatazione: ancora oggi non tutti i Comuni d'Italia si sono adeguati alla normativa che ha introdotto il CUDE (Decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 30 luglio 2012): essa poneva il 15 settembre 2015 come tempo ultimo per far sì che le varie Amministrazioni comunali procedessero ad eliminare tutti i contrassegni precedentemente in circolazione (per intendersi, quelli di colore arancione). Su questo argomento, oltre alla nostra scheda tematica, rimandiamo alle precisazioni di Stefano Borgato sulle pagine di Superando.it [link a sito esterno].
In tema di concessione, invece, intendiamo portare all'attenzione un documento che non ha avuto una grande rilevanza mediatica, ma che, al contrario, è molto importante, perché offre un'interpretazione che, potenzialmente, potrebbe ampliare la platea di persone con disabilità che potrebbero essere beneficiarie del Contrassegno Europeo.
Il documento in questione è il Parere n. 1567 dell'11 marzo 2016 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti [link a sito esterno]. Il testo analizza l'articolo 381 del DPR n. 495 del 16 dicembre 1992 (il Codice Strada, aggiornato e modificato dal DPR n. 151 del 30 luglio 2012), che si occupa per l'appunto della concessione del contrassegno per parcheggiare ad uso delle persone con disabilità.
Il Parere precisa che l'articolo in questione «pur prevedendo tale condizione [impedita o sensibile riduzione della capacità di deambulazione, N.d.R.], non fa esplicito riferimento agli arti inferiori né alla patologia che la ha determinata. Quindi […], esso non dovrebbe essere interpretato in senso eccessivamente restrittivo, tanto che a sostegno di quanto detto, il DPR 24 luglio 1996, n. 503, prevede […] che la normativa relativa al contrassegno speciale sia estesa anche alla categoria dei non vedenti».
Il DPR n. 503 del 24 luglio 1996, infatti, all'articolo 12, comma 3, recita: «La normativa di cui al presente articolo si intende estesa anche alla categoria dei non vedenti».
Il passaggio successivo del Parere è altrettanto importante, poiché scrive: «Questa Amministrazione, anche in passato, ha sostenuto che il contrassegno potrebbe essere rilasciato a persone, come il disabile psichico, che teoricamente non presentano problemi di deambulazione, ma che proprio a causa della loro specifica patologia, non possono essere considerate autonome nel rapporto con la mobilità e la strada e necessitano comunque della mediazione di terze persone che le accompagnano e gestiscono i loro spostamenti».
Considerazioni analoghe possono essere fatte anche riguardo a persone che hanno menomazioni agli arti superiori, «[...] laddove venga effettivamente dimostrato che tale menomazione renda difficoltosa la loro autonomia nella mobilità».
In altre parole, quindi, non è solo la capacità di deambulazione, in senso stretto, che deve essere presa in considerazione ai fini della concessione del contrassegno, ma la "complessiva difficoltà di autonomia" nella mobilità (concetto molto ampio) di una persona.
All'atto pratico, però, come riferisce anche il Parere del Ministero, il problema della concessione del contrassegno non riguarda tanto l'interpretazione di funzionari/e ministeriali (o comunali), ma la concreta possibilità per le persone con disabilità - con menomazioni agli arti superiori o con problematiche di carattere cognitivo e relazionale - di vedere riportato l'esito di una valutazione nel senso che si è detto nei certificati di «invalidità civile» e/o di «stato di handicap» (i quali, come previsto dalla Legge n. 35 del 4 aprile 2012, contengono la valutazione della presenza o meno dei requisiti sanitari per la richiesta del contrassegno).
È opportuno, quindi, che le associazioni che promuovono e tutelano i diritti delle persone con disabilità lavorino per sensibilizzare su questo tema sia le Commissioni Mediche degli accertamenti sanitari di cui sopra (ASL e INPS), sia le stesse persone con disabilità al fine di non creare false aspettative rispetto all'ottenimento del contrassegno anche da parte di quelle persone le cui menomazioni non implicano alcuna «difficoltosa autonomia nella mobilità».