La presentazione di tre disegni di legge (DDL) presentati al vaglio del Senato a gennaio 2017, sulla figura del caregiver, ha riguardato: il n. 2048 (Cristina De Pietro e altri), "Misure in favore di persone che forniscono assistenza a parenti o affini anziani"; il n. 2128 (Laura Bignami e altri), "Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare"; il n. 2266 (Ignazio Angioni e altri), "Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare".
A fine settembre scorso alla Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato è stato presentato il Testo Unificato.
Se tutti e tre i DDL però non avevano convinto le associazioni, le quali lamentavano una mancanza di misure volte alla limitazione del ricorso al caregiver da parte di famiglie che necessitavano di un aiuto nell'assistere una persona cara, il Testo Unificato sembrerebbe convincere ancor meno.
Tra tutte le voci sollevatesi contro il Testo Unificato riportiamo quanto espresso da Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili : "Noi crediamo che questa legge sia una truffa (…) e temiamo che vogliano usarla solo a fini elettorali, come hanno fatto per quella sul Dopo di noi (…). Non verranno attivate risorse specifiche, (il testo) rimanda il problema alle Regioni, sempre nei limiti delle risorse disponibili, che ovviamente faranno quello che hanno fatto finora, ossia NULLA!".
A scatenare indignazioni dello stesso tenore è stata la stessa dichiarazione espressa dal relatore del Testo Unificato, il sen. Giuseppe Pagano, che, nel presentarlo, ha tenuto a precisare che non comporterà alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica, perché il Testo avrebbe solo lo scopo di orientare "(…) l'attività delle Regioni e delle Province Autonome, nell'àmbito del riparto costituzionale di competenza tra queste e lo Stato, e rimanda alla sessione di bilancio la quantificazione delle risorse che lo Stato destinerà a favore dei prestatori volontari di cura che sono identificati nel testo proposto".
Altra critica mossa dalle associazioni è che nessuna nuova responsabilità verrà affidata allo Stato, chiamato in causa solo per definire i criteri per l'identificazione delle persone con disabilità e dei caregiver (come previsto dal Titolo V della Costituzione) e limitandosi tutt'al più a riconoscere il valore sociale ed economico dell'attività di assistenza gratuita prestata dai familiari a coloro che necessitano di cure e assistenza a lungo termine, delimitando il raggio di azione alla sola gravità delle menomazioni come previsto dall'articolo 1 del Testo Unificato.
L'articolo 2 dello stesso testo, denominato "valorizzazione e sostegno dell'attività dei caregivers", sono previsti progetti e atti programmatici a carico delle Regioni (ovviamente nei limiti delle risorse disponibili), a sostegno di tale figura, un elenco di proposte e progetti senza dubbio onorevoli, ma che in realtà dovrebbero essere già da tempo consolidati e assodati come avviene in molti paesi d'Europa. Tra questi ad esempio:
Nell'articolo 3 viene fornita una nuova denominazione della figura dell'aiuto, che ha suscitato particolari critiche: al termine caregiver è stato sostituito il termine Prestatore Volontario di Cura, cioè colui/colei che "gratuitamente si prende cura del coniuge, di una delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, è riconosciuto invalido civile al punto da necessitare assistenza globale e continua ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per almeno 54 ore settimanali, ivi inclusi i tempi di attesa e di vigilanza notturni".
L'articolo 3 quindi "prescrive" la quota di 54 ore di assistenza alla persona affinché venga riconosciuto "un intervento continuativo e globale".
Questa nuova definizione pone l'accento sulla gratuità della cura, ma non tiene conto di molte situazioni che spesso si verificano in tante famiglie, dove la totale devozione alla persona cara non sempre avviene come scelta volontaria, ma si presenta come una diretta conseguenza dell'assenza delle istituzioni e di servizi territoriali: infatti questi, di solito deputati ad espletare tale ruolo, lo delegano sempre più alle famiglie, perché in assenza di fondi, di risorse o di personale; quest'ultime quindi sono costrette ad assumersi in toto tali responsabilità.
Tuttavia questa nuova figura prevede un percorso formale di nomina che è rimessa alle persone con disabilità che siano in grado di scegliere in maniera autonoma (o in caso contrario al loro tutore), in base a dei criteri di selezione che verranno stabiliti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, d'intesa col Ministero della Salute, con specifico decreto, in base a quanto previsto dall'articolo 4 del Testo Unificato.
Inoltre, le limitazioni che lo stesso impone all'esercizio dell'attività di cura risultano essere molte e quelle che con maggior risalto sono state portate in evidenza dalle associazioni riguardano il fatto che il "riconoscimento della qualifica di Prestatore Volontario di Cura preclude a tutti gli altri familiari lavoratori, fatta eccezione per i genitori, la facoltà di godere delle disposizioni di cui all'articolo 33 della legge n. 104 del 1992": ciò vuol dire che nessun altro lavoratore dello stesso nucleo, al di fuori del Prestatore Volontario di Cura, possa accedere ai benefici dell'articolo 33 della legge 104/1992; ma, cosa che di fatto risulta evidente è che il Prestatore Volontario di Cura, se intende anche lavorare, vede il proprio impegno assistenziale così elevato da rendere assai improbabile una possibile conciliazione con un'attività lavorativa.
Non solo quindi manca un riferimento e un accenno a temi salienti quali la tutela previdenziale, i contributi figurativi, pensionamento anticipato, malattie professionali, infortuni e quant'altro, ma dalla lettura che possiamo trarne dalle critiche delle associazioni, ci troviamo di fronte a un bel salto all'indietro nella tutela delle persone con disabilità e di coloro che le assistono: non solo non viene riconosciuto il lavoro del caregiver ma lo/la si "condanna" a una vita interamente dedicata all'assistenza (senza oneri per lo Stato).
Un' ulteriore conferma del totale scollamento tra quanto è previsto dalla legge e quelle che risultano essere le richieste e i bisogni di migliaia di famiglie, lasciate ancora una volta sole ad assolvere l' arduo compito dell'assistenza.